Al Direttore di Famiglia Cristiana Egregio Direttore, sono un professore di matematica dell'Universita' di Udine e con la presente faccio riferimento all'articolo comparso sul numero 51 del 25/12/96 di ``Famiglia Cristiana'' dal titolo ``La formula di Nicolo'''. La "matematica ufficiale" viene chiaramente chiamata in causa da tale articolo, e sento il dovere, come penso qualunque altro matematico di professione, di fare alcune osservazioni. Non sono, purtroppo, infrequenti i casi di persone che, dilettandosi in modo non professionale di matematica, affermano (in perfetta buona fede) di aver fatto scoperte di straordinaria importanza, assumendo poi l'atteggiamento di ``genio incompreso''. Temo che in questo fatto i "matematici di professione" non siano del tutto esenti da colpe, poiche' ben poco fanno per rendere meno ``misterioso'' il loro lavoro e per cercare di seminare, attraverso la divulgazione, una cultura matematica che e' oggi in Italia assolutamente inesistente. Cio' che mi rattrista maggiormente, nel caso specifico, non sono le affermazioni del signor Bellia (casi simili sono gia' capitati in passato), ma il fatto che un settimanale, che ritengo peraltro serio, abbia pubblicato un articolo del genere senza aver sentito il parere della, chiamiamola, matematica ufficiale, inducendo i numerosi lettori ad immaginare il matematico di professione come uno sterile accademico che tramanda un sapere immutabile, sordo a qualunque innovazione, soprattutto se proveniente da non addetti ai lavori. Dall'articolo in questione non e' possibile ricavare informazioni oggettive riguardo alla ``formula'' di cui si parla e sui teoremi di Bellia. Mi sono percio' permesso, seguendo il suggerimento dello stesso signor Bellia, di richiedere i dettagli tramite la pagina Internet da lui indicata. Nel titolo dell'articolo, e piu' volte nel corpo dell'articolo, si parla di una "formula" per risolvere le equazioni di grado generico (ad esempio di quinto grado) la cui ricerca aveva fatto dannare i matematici del passato. Questa affermazione, se fosse vera, avrebbe delle conseguenze sconvolgenti per tutta la matematica, e questo anche se ci limitassimo alle sole equazioni di quinto grado, e vorrei spiegarne il motivo. Anzitutto vorrei chiarire cosa significa "formula risolvente". Quello che i grandi matematici del passato cercavano cosi' affannosamente era un modo (una "formula") per esprimere le soluzioni "esatte" di una generica equazione algebrica di un certo grado (diciamo cinque, tanto per fissare le idee) in funzione dei coefficienti, ed utilizzando solo (in numero non infinito) le quattro operazioni aritmetiche (+, -, x, /) ed i radicali, cioe' estrazioni di radici k-esime, dove k e' un generico numero intero positivo. Tartaglia (e Cardano) avevano appunto trovato una tale formula per le equazioni di terzo grado, dove comparivano due radici cubiche, oltre a radici quadrate e le quattro operazioni aritmetiche; tale formula venne successivamente estesa alle equazioni di quarto grado. Le equazioni di quinto grado resistevano a tutti gli sforzi, finche' Abel prima, ed il matematico francese Evariste Galois poi, dimostrarono la non risolubilita' di tale problema, se non in casi particolari. La "teoria di Galois" che permette di ottenere tale risultato e' uno dei capitoli piu' affascinanti della matematica. Ora non puo' sfuggire il contrasto che c'e' tra tale risultato e le affermazioni contenute nell'articolo in questione. La matematica non e' un gioco di prestigio che permette di dimostrare tutto ed il contrario di tutto. I casi sono due: o ha sbagliato Galois (la sua dimostrazione e' pubblica e verificabile da chiunque) o ha sbagliato Bellia. E in effetti quello che Bellia propone NON E' una "formula risolvente", ma un "procedimento iterativo" che permette di ottenere una APPROSSIMAZIONE (con un errore piccolo quanto si vuole, ma mai nullo) delle soluzioni dell'equazione. E la cosa e' ben diversa! Metodi del genere esistono fin dall'antichita', ed in particolare il metodo che Bellia propone coincide, pur essendo formulato in modo molto meno efficiente computazionalmente, con il "metodo di Newton", e quindi ne condivide pregi e difetti. Il piu' classico esempio di metodo iterativo venne ideato da Archimede per ottenere una migliore approssimazione di pi greco, ma, come si sa, il problema della quadratura del cerchio (cioe' del calcolo di pi greco) non puo' essere risolto esattamente con le sole operazioni algebriche. Si tratta, per concludere, della classica scoperta dell'acqua calda, anzi tiepida, visto che il metodo di Newton applicato nella sua forma originaria e' ben piu' efficiente in termini di tempo di calcolo. Esistono poi in letteratura metodi piu' sofisticati che permettono, ad esempio, di trovare tutte le radici reali (o anche tutte le radici complesse): la convergenza dell'algoritmo di Bellia (come d'altra parte anche del metodo di Newton) non e' garantita, come si puo' verificare ad esempio prendendo l'equazione x^5 - x - 1 = 0, la cui unica soluzione reale non viene trovata dal programma di Bellia. Voglio fermarmi qui, anche se il discorso potrebbe proseguire ancora a lungo, esprimendo la speranza che quanto avvenuto possa se non altro servire, da una parte a scuotere il mondo accademico matematico, e dall'altra a stimolare la stampa e gli altri media nella ricerca di una qualche forma minima di divulgazione della matematica. Vorrei anche ricordare in conclusione la figura di un eccezionale matematico italiano, il leccese Ennio de Giorgi, scomparso il 25 ottobre scorso a Pisa, maestro di vita e incrollabile cattolico, oltre che eccelso matematico. Amante della "sapienza" e dalle grandi capacita' divulgative. Mi sembra stridente il fatto di trovare ora un articolo di tre pagine sul Signor Bellia, e di non aver trovato a suo tempo notizia sullo stesso settimanale della morte di Ennio de Giorgi, lui si' di statura paragonabile a quella dei grandi matematici odierni e del passato. In fede, Maurizio Paolini